C’è chi pensa che il mondo dei rally sia popolato soltanto da uomini. Non c’è niente di più sbagliato, e lo prova Rachele Somaschini. Giovane pilota milanese, già campionessa nel 2016 nel Campionato Italiano Velocità Montagna, Rachele è pronta per un’altra grande esperienza: il Monza Rally Show 2018 che inizia oggi. La benzina di Rachele, però, non è soltanto la passione per i motori: lei, come ama ribadire anche sui suoi profili social, “corre per un respiro”. Rachele, infatti, corre la sua sfida più importante contro la fibrosi cistica per la quale è anche testimonial della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica: “Ne sono affetta dalla nascita, ai miei genitori era stato detto che non sarei arrivata all’età adulta”. Ma, come spesso in questi casi, la determinazione e la voglia di non mollare mai la hanno portata sempre più in alto. E, corsa dopo corsa, si sta ritagliando uno spazio tra i grandi, portando sulla macchina e nel cuore il ricordo di un’altra grande guerriera: Angelica.
Chi sei? Come è nata la tua passione per i motori?
“Sono una ragazza di 24 anni e corro da quando ho 18 anni. La mia famiglia, in particolare mio padre, è da sempre appassionata di motori, per cui sono cresciuta in un ambiente molto vicino a quel mondo. A differenza della maggior parte dei piloti, che iniziano a correre da piccoli sui kart, io ho dovuto seguire un percorso diverso. Questo perché ho la fibrosi cistica dalla nascita. Nel 1994 ai miei genitori era stato detto che non sarei arrivata all’età adulta, ma grazie alla ricerca le cose sono cambiate un bel po’”
Quindi si può dire che la tua carriera è incominciata pochi anni fa…
“Esatto. Solo quando sono arrivata ai 18 anni ho deciso di provare a fare qualche gara, sia per vedere se avrei potuto sostenere fisicamente i ritmi di un rally sia per mettermi alla prova in un mondo che mi ha sempre appassionato. Ho corso la mia prima gara in coppia con mio papà e da lì ho iniziato a farne sempre di più fino, al 2016, quando ho preso parte al mio primo Campionato Italiano Velocità Montagna (CIVM), vincendolo proprio l’anno del debutto a bordo di una Mini Cooper S nella categoria Racing Start Plus 1.6 Turbo. Mi sono poi cimentata in altre specialità, dalle salite alla pista, fino ad arrivare a quello che è il mio vero amore: i rally”
Molte donne sono navigatrici ma poche pilota. Cosa significa per te vestire questo ruolo, considerato dai più prerogativa maschile?
“Effettivamente sono tutti uomini, quindi sono circondata! Penso che in un mondo come questo, essere una donna da una parte ti aiuti ma dall’altra ti complichi la vita. Se, infatti, l’essere donna ti permette di emergere più facilmente, come un boomerang la stessa visibilità ti si ritorce contro: cose che a tutti gli uomini sarebbero perdonate, come una prestazione opaca o qualche errore, nei confronti di una donna diventano subito motivo di critica”
Se ti guardi indietro, credi di aver mai incontrato ostacoli o, al contrario, ricevuto favoritismi proprio per l’essere donna?
“Non esattamente. Da una parte l’essere donna mi ha spesso aiutato: pensando a un discorso di immagine, molte persone hanno creduto in me e hanno deciso di sostenermi fregandosene di quelli che sarebbero potuti essere i miei risultati. Dall’altra parte, però, c’è sempre tanta gente che non crede che una donna possa ottenere ottimi risultati, e che aspetta il minimo errore per poterti criticare. In realtà oggi posso dire che proprio quella gente che riponeva poca fiducia in me, col tempo si è dovuta ricredere”
Sei affetta da fibrosi cistica dalla nascita. Quanto influisce la tua patologia nei rally?
“Chiaramente faccio più fatica degli altri: per poter rimanere a certi livelli, devo mantenere una preparazione atletica costante, e devo reidratarmi molto soprattutto nelle gare nei periodi estivi, quando il caldo aumenta ulteriormente il già elevato dispendio energetico richiesto da una competizione. La mia patologia, comunque, non è considerata in alcun modo invalidante nel mio sport. Agli occhi della Federazione sono esattamente come tutti gli altri: la mia auto non ha alcuna dotazione particolare e la visita medica che devo sostenere per il rinnovo annuale della licenza è la stessa di qualsiasi altro pilota”
Quanto ti aiuta lo sport?
“Tantissimo. Dico sempre che lo sport è una seconda terapia: è fondamentale”
Casco e cinture allacciate, tu e il tuo navigatore pronti per la partenza. Quali sono le tue sensazioni negli attimi prima dello start?
“Quello che dico sempre è che non appena abbasso la visiera ed entro in prova speciale non conta nulla se non la prova stessa. Importante è la concentrazione: fare il meglio che si può e dimenticare tutti i problemi, siano essi legati al quotidiano sia alla malattia. È ovvio, però, che se un pilota deve concentrarsi soltanto sul giorno della gara, io devo pensare anche a tutta la preparazione propedeutica a livello fisico”
A proposito di navigatore: ne hai uno di fiducia oppure cambi spesso?
“Purtroppo per un discorso di tempistiche ne ho dovuti cambiare tanti. Soprattutto durante il CIVM, che è abbastanza difficile e impegna molto tempo, ho avuto difficoltà a trovarne uno sempre disponibile; in più, ero anche obbligata a scegliere una navigatrice donna. Ora questo obbligo è stato tolto, e sono tornata al mio navigatore degli inizi. Posso dire che mi conosca meglio di chiunque altro!”
Oggi correrai il Monza Rally Show, gara prestigiosa in cui hanno corso grandi nomi, da Colin McRae a Valentino Rossi, passando per Tony Cairoli, Sebastien Loeb, Attilio Bettega, Robert Kubika e molti altri. Quali sono le tue sensazioni?
“In realtà quest’anno è già la terza volta che corro il Monza Rally Show. Anno dopo anno sto passando ad auto sempre più prestazionali, salendo di volta in volta di categoria. Quest’anno corro con una 208 T16 categoria R5”
Tu, però, sei abituata anche a ben altro. Visti da fuori, i rally sono lo sport pericoloso per eccellenza:è così?
“Quando mi chiedono se corro in macchina e io rispondo che faccio i rally, la reazione è sempre e solo una: tu sei fuori di testa! Se devo essere sincera, correre in pista mi annoia. Preferisco il mondo dei rally sia per i percorsi in sé sia per l’affetto delle persone nelle prove speciali: percorrono a piedi anche diversi chilometri pur di non perdersi alcun passaggio, quelle che siano le condizioni meteo. Per quanto riguarda il pericolo in senso stretto, io sono molto fatalista: penso che se dev’essere il mio momento, può succedere anche mentre attraverso la strada”
Hai mai avuto incidenti?
“Qualche volta sono uscita di strada, ma niente di eclatante. Comunque non credo di averci mai pensato: è proprio l’ultimo ei miei problemi quando penso a una gara”
Ci descrivi l’iter per poter correre un rally?
“A parte il Monza Rally Show, nel quale sei invitato, le gare normali partono da un’iscrizione. Nel momento in cui sei iscritto devi procedere con le ricognizioni, in cui il pilota detta le note al navigatore, che gliele ripeterà in gara. Dopo aver passato le verifiche sportive dell’equipaggio e tecniche della macchina si arriva alla partenza. Si parte da un palco, si fanno le prove speciali e si torna sul palco. La durata temporale del rally dipende dalla lunghezza del percorso: può svolgersi in un’unica giornata, ma è ovvio che se si tratta di 300 km la gara viene distribuita su più giorni. In pratica, sono tante prove speciali che tutte fanno media: in una prova speciale non puoi pensare di andare piano perché il risultato fa cumulo per la posizione finale”
Quale è la gara che ti è rimasta più nel cuore?
“Il primo palco di arrivo: il rally di Sanremo. È stata la prima gara del campionato italiano che ho portato a termine (nella prima mi sono dovuta ritirare per la rottura di un semiasse). Arrivata alla fine, il palco d’arrivo è stato un’emozione unica sia perché non potevo immaginare la stanchezza fisica a cui sarei andata incontro sia per le condizioni climatiche che ho dovuto affrontare: c’era appena stata un’alluvione, per cui a farla da padrone sul percorso sono stati terra, bagnato, sporco, umido…”
Oggi come stai? Come convivi con la fibrosi cistica?
“Al momento riesco a vivere bene, anche se con una spada di Damocle sulla testa. Ho un batterio e l’unica cura a oggi disponibile è endovenosa e della durata di due anni. Nel momento in cui si rendesse necessario iniziare la cura dovrei fermare tutto dal punto di vista sportivo. Fortunatamente fino a ora tendenzialmente sto bene, per cui ancora non sono andata ad attaccare questo batterio. Speriamo se ne vada anche grazie a quello che faccio”
Che messaggio vorresti lanciare a chi è solito dire “questo lo faccio dopo” oppure “non riesco a farlo”?
“Onestamente anche io mi sono comportata così per un certo periodo: mi facevo troppi problemi, ma ben presto mi sono resa conto che è inutile. Si perde solo del tempo che si può invece impiegare per fare cose utili sia per se stessi che per gli altri. Mettersi da soli i bastoni tra le ruote non è nelle mie corde: per un periodo lo ho fatto, ma è stato uno dei periodi più piatti della mia vita. Diciamo che con quello che sto facendo ora sto recuperando!”