Una tragedia con due morti e otto feriti ha guastato la festa dei Mondiali di nuoto a Gwangju, in Corea del Sud, ormai alle battute finali. Durante una serata in discoteca, a cui partecipavano vari atleti e non solo, una balconata ha ceduto uccidendo due persone e ferendone 16. La nazionale di pallanuoto Giulia Viacava era entrata da cinque minuti con Izabella Chiappini per passare una serata in allegria prima del rientro in Italia previsto l’indomani. All’interno ci si divertiva a ritmo di musica. C’erano la nazionale statunitense campione del mondo che festeggiava il titolo appena conquistato, l’Ungheria, l’Olanda, la Nuova Zelanda e atleti di molteplici nazionali, tra cui brasiliani e australiani.
Le azzurre erano in un corridoio laterale, lontano dal centro della pista quando hanno sentito un tremendo rumore commisto a urla di paura e dolore. La fuga verso l’esterno delle 400 persone presenti (ben oltre il limite consentito) ha creato il panico, tra detriti e bottiglie di vetro rotte. Caos e parapiglia. Scale piene di corpi che si ammassavano e fuggivano disordinatamente. “Ho cercato di intervenire il prima possibile – racconta la 24enne che, oltre a giocare a pallanuoto si è laureata in scienze infermieristiche a Genova un paio di anni fa – Vedevo persone ferite, che si lamentavano e chiedevano aiuto. I soccorsi tardavano e così ho cominciato ad assistere chi potevo. Vicino a me c’era l’americana Kaleigh Gilchrist. Aveva il polpaccio sinistro esposto. Le ho fermato l’emorragia prima che intervenisse l’ambulanza per portarla in ospedale dove è stata operata. Poi mi sono occupata di un nuotatore brasiliano che aveva subito un trauma contusivo con escoriazioni alla scapola destra. Ho disinfettato la ferita e con Izabella e altri atleti brasiliani l’abbiamo accompagnato in taxi al centro medico del villaggio atleti dove è stato medicato. Volevamo distrarci e passare una serata piacevole dopo la lunga preparazione e il mondiale andato così così invece abbiamo vissuto una tragedia che difficilmente dimenticherò. Rientrata nell’appartamentino ho provato a dormire, ma continuavo a ricordare quelle scene di panico. Avevamo percepito il dramma in corso. Abbiamo visto uno dei due sudcoreani morti con gli occhi sbarrati e la testa penzoloni. Poche ore e siamo partite con la squadra verso l’aeroporto. Erano le 6, ma solo in aereo sono riuscita a dormire un po’. Finalmente sono tornata a casa“.