L’ex rugbista Elisa Facchini ha voluto rispondere alla scivolata del presidente del Coni Giovanni Malagò che nei giorni scorsi durante un discorso aveva detto: “più che mai oggi, avendo due figlie femmine, avrei voluto un figlio maschio e sarei stato felice avesse giocato a rugby“. Frase che ovviamente ha sctenato la reazione del mondo sportivo a partire da Maria Cristina Tonna, responsabile del rugby femminile italiano, che ha ricordato a Malagò che «oggi siamo in tante e tanti ad avere una visione che parla di equità, e alle ragazze che giocano a rugby nessuno dovrà mai più dire che è un gioco da maschi. Non esistono sport da maschi e sport da femmine». Elisa Facchini, ha 44 anni, fa la veterinaria e allena una selezione di ragazze della palla ovale. Una splendida carriera la sua nella Red Panthers, le donne della Benetton Treviso: giocando mediano di mischia, ha vinto tredici campionati italiani e tre volte la Coppa Italia. Ha indossato anche la maglia azzurra al Sei nazioni, centrando la prima vittoria assoluta del torneo nell’ultimo incontro dell’edizione 2008, contro la Scozia. Giocatrice, donna e mamma. Insomma la dimostrazione vivente che le donne sono capaci di fare tutto, anche più cose contemporaneamente: compreso giocare a rugby.
Domenica mattina Elisa ha deciso di pubblicare sul suo profilo Facebook quella vecchia fotografia di lei che allatta nello spogliatoio. Un’immagine che vale più di mille parole.
La lettera aperta di Elisa Facchini
“Caro Presidente Malagò,
Anzi non so se lei è anche il mio Presidente, perché sa, io sono una rugbysta.
In questa foto di circa 10 anni fa, stavo allattando mio figlio di 5 mesi nello spogliatoio di un campo da rugby, dopo aver giocato (e vinto) una finale scudetto. Mio figlio veniva con me ad allenamento, in trasferta e perfino in raduno con la nazionale, mai nessuno ha storto la bocca, mai nessuno mi ha impedito di farlo e le dirò di più, c’era sempre una compagna, una dirigente, un’amica che si offriva per tenerlo e per darmi l’opportunità di divertirmi e di continuare a fare l’atleta.
Mai un giorno ho fatto la professionista, anche se per molti anni mi sono allenata quanto un professionista. Prima lo studio fino alla laurea, poi il lavoro. Ma non è passato un giorno in cui non abbia sudato, in cui non abbia faticato per il piacere di indossare la mia maglia la domenica. Sono diventata moglie, poi mamma (2 volte), ho sempre lavorato, ma ho continuato a giocare perché chi era intorno a me mi ha aiutata e sostenuta comprendendo il grande valore che per me aveva il rugby. Ma oggi ancora una volta mi rendo conto che sono stata fortunata, che il mondo femminile è lontano anni luce dall’ambire uguali diritti degli uomini.
Ma sappia, Caro Presidente, che noi donne non molliamo, perché amiamo lo sport e perché, grazie a Dio, in tante siamo state cresciute da padri orgogliosi di vederci felici!”