Incontrare Giulia Rulli è stato come fare un viaggio nella testa di un atleta, uno qualsiasi, non una donna, una cestista o una ragazza che ha appena vissuto l’esperienza delle Olimpiadi.
La chiacchierata che io e Raffaella Masciadri abbiamo fatto con lei nella puntata di Sportive Digitali del 19 ottobre, ci ha aperto le porte su ciò che Giulia vuole fare del suo talento, della sua esperienza e della sua vita quando smetterà di giocare a livello professionistico.
“Non mi è piaciuto subito giocare a basket. Ho fatto una lezione di prova con mia sorella Federica grazie ad alcuni amici di famiglia. Il risultato? Federica è voluta tornare subito mentre con me hanno dovuto insistere un po’ di più. Non che mi abbiano costretta: c’è voluta più di una lezione di prova per innamorarmi della pallacanestro!”
Classe 1991, Giulia Rulli ha collezionato un palmares di rispetto a partire da due scudetti giovanili Under 16 e Under 18 con il San Raffaele basket, storica società capitolina, 1 Coppa Italia A2 con il Basket Costa x L’Unicef nella stagione 2016-2017 e 1 Promozione in Serie A1 sempre con il Basket Costa x l’Unicef due stagioni dopo (2018-2019). Nel settembre 2018 arriva lo splendido risultato della vittoria della Coppa del Mondo con la Nazionale 3×3 a Manila quando, insieme a Rae Lin D’Alie, Marcella Filippi e Giulia Ciavarella, guidate da coach Angela Adamoli, conquista quel podio che scuote i media, la stampa sportiva e le fondamenta della Federazione per quella che anche Gianni Petrucci definisce una “vittoria straordinaria per aver battuto squadre fenomenali del basket come Cina, Stati Uniti e Russia”.
La conquista della Coppa del Mondo fa guadagnare al quartetto e all’allenatrice l’ambito Collare d’Oro che Giulia riceve nel dicembre del 2018 dalle mani di Giovanni Malagò.
Ma la vittoria di Manila è solo il preludio a ciò che accadrà con la qualificazione per le Olimpiadi di Tokyo che coronano il sogno, a tratti inatteso, sia della pallacanestro femminile italiana che di questa ragazza dai lunghi capelli mossi nata a Cinecittà che aveva iniziato a tirare a canestro nella palestra dell’Olimpia Marino.
Giulia Rulli con la maglia della Nazionale
Giulia non ha mai smesso di studiare. Spesso le sue scelte di accettare la proposta di un club, sono state determinate dal percorso formativo intrapreso. Così, tra un allenamento e una gara, ha conquistato un altro risultato: la laurea triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche alla quale ha aggiunto la laurea magistrale in Interventi Clinici in Contesti sociali presso l’Università Cattolica di Brescia, aggiudicandosi anche la borsa di studio “Atleta eccellente, eccellente studente”.
E qui ci siamo fermate a pensare.
Tutto è partito dalla domanda “perché hai scelto questo percorso di formazione?” e quello che ne è venuto fuori è il quadro “vero” che pochi osservano con attenzione: la dimensione personale dell’atleta che deve affrontare importanti cambiamenti durante la sua crescita come individuo, non solo come giocatore.
Da atleta a persona: la dimensione che spesso spaventa
Giulia ha un desiderio: comprendere e affiancare tutte le ragazze e i ragazzi che come lei si sono sentiti spesso in difficoltà come persone, lontane da casa per inseguire una passione, tutti quegli adolescenti ai quali non sempre è concessa la comprensione da parte del sistema scolastico affinché l’atleta venga messo in condizioni di studiare e di eccellere nello studio e sul campo, senza pregiudizi e senza limitazioni.
“Cosa accade quando un atleta, da un giorno all’altro smette di essere atleta e inizia a vestire i panni di una persona normale, quando non si identifica più con la sua dimensione di sportivo? Quando smetterò di giocare non sarò più Giulia Rulli la giocatrice della Nazionale ma sarò solo Giulia Rulli. Mettersi in relazione con questo, comporta una nuova sfaccettatura della nostra identità, una nuova dimensione che se noi atleti non abbiamo fino a quel momento coltivato in qualche modo, con delle relazioni al di fuori dello sport, con una formazione universitaria con altri interessi diversi dal mondo sportivo, ci troviamo veramente in difficoltà.”
La dual career per il benessere psicologico dell’atleta
Portare avanti una dual career contribuisce sicuramente al benessere psicologico dell’atleta quando non sarà più tale. Abbiamo tanto parlato del grande valore aggiunto regalato dalla tecnologia rispetto alla possibilità di frequentare i percorsi professionalizzanti da remoto. Ma dobbiamo tener conto che quello che è fondamentale è uscire dal microcosmo rappresentato dalla vita in una squadra, legato a orari e impegni condivisi e immergersi nella vita della didattica in presenza per il più vecchio motivo di sempre: socializzare, confrontarsi con persone diverse, con linguaggi diversi, con sogni diversi.
Non solo. Riflettere su tutto questo ci ha portate a pensare che così come sempre più spesso troviamo la figura del nutrizionista inserito nei team delle squadre, al fine di curare l’alimentazione degli atleti, allo stesso modo è necessario affiancare professionisti che siano in grado di curare il benessere psicologico ed emotivo degli atleti e prevenire episodi come quello di Vanessa Ferrari o Simone Biles a Tokyo. La vicinanza poi di una persona che abbia vissuto le dinamiche dello sport e sia in grado, alla fine di un percorso di alta formazione, di sostenere gli atleti, è quella piccola e sottile differenza che può solo far del bene all’evoluzione degli individui nel percorso di crescita sportiva e “umana”.
“Voglio rimanere nello sport ma non come allenatrice. Vorrei portare all’interno dello sport uno sguardo psico sociale, uno sguardo che tenga conto del singolo, dell’individuo, con le sue sfaccettature e differenze e del contesto nel quale è inserito”.
(le foto appartengono all’archivio personale di Giulia Rulli che ne ha concesso l’utilizzo per la realizzazione di questo articolo)