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Maria Cristina Tonna e il rugby femminile: “Pensavano fosse uno sport per maschi e invece eccoci qui”

 

Maria Cristina Tonna è la General Manager Fir del rugby femminile in Italia. Un ruolo che non è e non può essere solo tecnico perchè non si può portare il rugby fra le ragazze italiane senza riflettersi in questa immensa ricchezza dello sport e della società ancora parzialmente espressa che sono le donne. Una conversazione che diventa lo specchio di una, cento, tante realtà di ragazze che dietro un pallone ovale seguono le emozioni e i sogni per affermare un modo proprio di vivere il rugby e giocare la vita. Maria Cristina, romana doc, ha il rugby nel sangue e nella testa sin da quando era bambina. Un passato da giocatrice, fino all’arrivo in Nazionale.C’è una persona che ha più di tutti ha incoraggiato la tua decisione di vivere il rugby?“Io ho iniziato a giocare a rugby a 13 anni, insieme a tutti i miei fratelli maschi, e se devo dire grazie a qualcuno per avermi permesso allora di giocare senza alcuna restrizione per il fatto che io fossi una femmina, lo devo dire ai miei genitori. E anche a mia nonna che, oltre a prepararmi sempre deliziosi panini per le trasferte, mi ha sempre chiamata dopo ogni partita per sapere se stavo bene!”C’è stato un momento della tua carriera sportiva in cui hai detto: ” Ho visto cose che voi maschi non immaginereste mai?”“Mmm…non saprei bene, io in realtà non ho mai guardato al rugby dei maschi come un’altra cosa rispetto a quello che praticavo io, se non per il fatto che ci fosse una distinzione di genere, anche perchè spesso nel corso della mia carriera mi sono allenata con squadre maschili ( tipo quando arrivai 18enne a Perugia e ancora non c’era la squadra femminile). Sono cresciuta in questo ambiente fatto di maschi prendendone i lati positivi tipo la schiettezza, il non essere invidiosa. Per scherzare Andrea Di Giandomenico, con il quale lavoro insieme da 11 anni, mi dice ” Guarda che stai a fà la femmina!”Qual é stato il tuo più grosso errore come giocatrice?”“Il più grosso errore per me fu una reazione ad una scorrettezza ricevuta in campo, che mi costò l’unico cartellino giallo della mia carriera, durata, con qualche breve intervallo (tipo per le due gravidanze) 29 anni. Quando ci ripenso ancora mi chiedo come ho fatto ad essere così sciocca nel cadere nel tranello, io che ho sempre risposto sul campo, con mete e placcaggi.”

Redazione SportDonna

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